Un solo dubbio: ha giocato l’ultima partita in marzo e lasciato il Qatar in luglio ma si è sempre allenato con scrupolo
Si è pentito presto. Il Qatar non era il suo posto e non era la sua vita. Perché Mario Mandzukic è un guerriero del calcio. Uno che quando era al Wolfsburg si è fatto fare più di una iniezione antidolorifica per giocare con un alluce fratturato e che ha tagliato la scarpa per giocare quando aveva problemi al tallone. Ha lasciato la nazionale croata dopo il Mondiale 2018 perché pensava di doversi concentrare soltanto sul club, ma quanto lo hanno rimpianto. Senza contare il resto. Mandzukic è un croato perfetto. Lavoro, orgoglio, un temperamento esuberante, ma fino a un certo punto.
Di fronte a Ibra, anche Mario si ferma. Perché lo considera un idolo, in campo e fuori. Cinque anni scarsi dividono i due sulla carta di identità, perciò non si può parlare di generazioni diverse a confronto. Si può parlare di rispetto assoluto, di Mandzukic per Zlatan, ma anche di Zlatan per Mandzukic. Ibra è un campione e una star di livello mondiale, Mandzu è definito da chi lo conosce bene come un Ibra in sedicesimo. Uno che a livello mediatico non incide altrettanto, ma ha un grande valore. Uno che al grande capo dello spogliatoio piace, perché è un vincente come lui. Che non si arrende. Che combatte fino all’ultimo pallone. E che può aiutare il Milan a lottare fino all’ultima giornata.
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